GIROLAMO MORETTI E LA CITTÀ DI VERONA

Per quale motivo Padre Girolamo Moretti ebbe un legame così forte con la città di Verona? Scopriamolo insieme…

GIROLAMO MORETTI E VERONA

Padre Girolamo Moretti (1879-1963), fondatore della grafologia italiana, instaurò un legame molto forte con la città di Verona. Molte furono le personalità più o meno note della Verona del primo Novecento che lo accolsero con entusiasmo e profonda stima e che strinsero con lui una sincera amicizia.

Tra i primi da ricordare ci sono l’avvocato Ettore Sartori, il primo a cogliere la portata dell’opera di Moretti e a invitarlo nella città veneta per una conferenza sulla grafologia; il Presidente del Tribunale di Verona, che “sfidò” Moretti a riconoscere quale tra gli autori di due scritti potesse essere il responsabile di un omicidio a sangue freddo; Don Giuseppe Trecca, originale storico, architetto nonché curato di San Salvaro, che chiese a Moretti un curioso profilo grafologico inviandogli copia di un manoscritto antico; la famiglia Bertelè, conosciuta grazie ad una conferenza tenuta dallo stesso Moretti in qualità di relatore presso le Stimate.

Ma andiamo per ordine….tutto ebbe inizio quando l’avvocato Sartori scrisse una lettera a padre Moretti invitandolo a Verona a tenere una conferenza sulla grafologia.

La prima volta a Verona

Moretti fu a Verona per la prima volta nella prima metà del Novecento (tra il 1919 e il 1923): aveva accolto l’invito del presidente dell’Università Popolare di Verona, avvocato Ettore Sartori, che, senza averlo mai incontrato o conosciuto personalmente, gli scrisse una lettera chiedendogli la disponibilità a tenere una conferenza sulla grafologia – scienza allora agli albori in Italia – presso il Palazzo della Gran Guardia. Sartori, professionista noto e stimato, era l’allora presidente dell’Università Popolare ed era molto attivo nella valorizzazione del patrimonio artistico di Verona (suo fu il merito dell’apposizione della lapide di Salgàri sulla casa natale dell’Autore in Corso Porta Borsari nel 1959).  

Moretti accolse volentieri l’invito dell’avvocato veronese. Possedeva del Sartori ”solo” la lettera d’invito e una cartolina dove erano stati riportati i dettagli organizzativi del convegno e in cui lo informava che lo avrebbe atteso in stazione: ciò gli bastava…o almeno così credeva. Preso il treno da Bologna, padre Moretti scoprì solo durante il viaggio che a Verona, allora come ora, c’erano due stazioni ferroviarie: Porta Nuova e Porta Vescovo. La cosa lo preoccupò perché non sapeva dove scendere: l’avvocato non glielo aveva precisato. Il caso volle, però, che a Mantova salisse il parroco di Felonica, con cui Moretti si intrattenne parlando di grafologia e informandolo che si stava recando a Verona. Venuto a sapere che il sacerdote sarebbe sceso alla prima delle due stazioni (Porta Nuova) e che il treno avrebbe fatto una sosta di quindici minuti, Moretti gli chiese di guardare se tra gli uomini presenti in stazione, in attesa dei viaggiatori, ve ne fosse uno che corrispondeva fisicamente alla descrizione che gli fece. Nel caso in cui nessuno fosse arrivato ad accoglierlo, Moretti avrebbe proseguito il suo viaggio sino alla stazione successiva. Questa richiesta lasciò basito il prete di Felonica, il quale, grazie proprio alla descrizione di Moretti, riuscì a individuare l’avvocato e a comunicargli che il padre chiamato per la conferenza di grafologia lo stava attendendo accanto al treno.

Lo stupore dell’avvocato Sartori fu tale che, dopo aver ricevuto con entusiasmo Moretti, con lo stesso entusiasmo richiamò presso il suo studio, in via Mazzini, alcuni suoi amici e colleghi che intrattennero padre Moretti con domande e con la richiesta di analisi grafologiche sino all’ora della conferenza .

Il convegno si tenne in una gremita sala del Palazzo della Gran Guardia che conteneva circa un migliaio di persone; tra il pubblico c’erano scienziati, filosofi, nobili e intellettuali della città. L’avvocato Sartori, dopo una breve presentazione, lasciò la parola a Moretti che parlò della sua grafologia coinvolgendo ed entusiasmando il folto pubblico.

La conferenza fu un successo, soprattutto dopo che l’oratore chiese che gli fossero portate scritture di persone note agli astanti ma a lui sconosciute: «ve le descriverò completamente nelle loro particolarità psichiche e somatiche», disse Moretti (Moretti, 1977p. 94). L’avvocato Sartori gli fece avere, così, alcuni scritti: le analisi morettiane lasciarono tutti stupiti per i dettagli (anche somatici) che Moretti riuscì ad individuare e a mettere in luce dalle scritture: una delle grafie era quella dell’allora Sindaco di Verona; un’altra quella di Paola Lombroso, figlia del più celebre Cesare. Non deve stupire che Moretti sapesse individuare dalla scrittura le particolarità fisiche degli scriventi: egli è rimasto celebre proprio per la capacità di cogliere nel gesto grafico il movimento espressivo di un’unità psicosomatica.

 Moretti alle Stimate – L’incontro con la famiglia Bertelè

Trascorso poco tempo dal suo primo incontro con la città scaligera, Moretti fu invitato nuovamente a Verona per una seconda conferenza che si tenne alle Stimate. La sala in cui fu ospitato era più contenuta di quella della Gran Guardia, benché avesse accolto comunque un gran numero di persone.

Tra queste vi erano anche le sorelle Iole e Dolores Bertelè che, dopo la conferenza, lo invitarono nella loro villa a Cerea. Moretti accettò volentieri e fu qui che conobbe il loro padre, Umberto Bertelè, la moglie Rachele i loro quattro figli maschi e una terza figlia, Icilia. Appena Umberto Bertelè seppe che Moretti aveva intenzione di pubblicare la terza edizione del Trattato, si offrì di anticipare le spese di pubblicazione con l’accordo che l’Autore gliele avrebbe restituite appena possibile.

Così, proprio grazie alla conferenza presso gli Stimatini di Verona, iniziò il rapporto di ammirazione, collaborazione e amicizia che tenne unito Bertelè al padre della grafologia italiana, il quale gli fu riconoscente al punto da definirlo il mecenate della sua grafologia (Moretti, 1977, p. 96).

Moretti ricorda con affetto il loro primo incontro, e rende noto che, visti i pochi ricavi dalla vendita della III edizione del Trattato, il signor Bertelé risolse ben presto l’accordo tra loro: «Al denaro che le ho dato per la terza edizione, uscita nel 1924, non pensi più. Gliene faccio dono per i suoi poveri» (Moretti, 1977p. 96). 

La generosità di Bertelè colpì a tal punto Moretti che mai la poté dimenticare: non solo Bertelè sostenne le spese di altre sue pubblicazioni ma lo aiutò economicamente anche ad affrontare le terapie per la malattia del padre.

Sono tanti i ricordi che Moretti conserva del suo rapporto con la famiglia Bertelé. 

In uno dei periodi in cui la sua salute non era delle migliori (settembre 1940), Moretti così ricorda la cura durante la permanenza nella loro residenza e scrive: «Le affettuose attenzioni della cara famiglia Bertelè, il bosco di alberi resinosi e secolari che fanno anche a corona al giardino situato di fronte alla villa, l’aria salubre e il cibo ottimo mi rasserenano l’animo e con il caro Alfredo, ultimo nato dei sette figli e studente di medicina verso la quale l’avevo indirizzato, iniziai il lavoro per la sesta edizione. Una domenica mattina venne a Cerea da Verona Renzo Ambrosi uno dei miei discepoli che si era assunto l’incarico di segretario della nostra società La Psicografica» (Moretti, 1977, p. 137).

Il rapporto con Bertelè fu intenso sino alla morte del mecenate, avvenuta nel 1942: così il padre della grafologia italiana la ricorda, nella sua autobiografia, sin dall’arrivo del telegramma del figlio di Umberto, Alfredo Bertelè, che preannunciava le gravi condizioni del padre: «Il mio amico Mecenate era agli estremi. Mi misi subito in viaggio e quando arrivai era già morto, munito di tutti i conforti religiosi e serbando lucidità di mente fino all’ultimo giorno. La moglie, signora Rachele, e i sette figli erano a Verona. L’uomo giusto è andato a ricevere il premio del suo rigorosissimo talentuosismo sovente messo a dura prova. Veramente attaccato al dovere, non ha mai voluto aderire ai partiti, pur essendo un cittadino profondamente amante della pace. Molti anni addietro quando aveva i suoi figli così piccoli, assalito da briganti nella villa di Cerea, rubato, minacciato, con pericolo di essere assassinato, ha saputo perdonare, ma quasi essere in certo modo difensori nelle pendenze contraria, era sempre lui a cercare la conciliazione. Era tutto dedito alla famiglia […]. Il suo amore spiccato per la giustizia è stato di insegnamento ai figli che ne seguono le orme. La morte era da lui attesa, conscio com’era della propria fine. Il funerale fu un attestato di pubblica stima; i neri cavalli che trasportavano il feretro procedevano con incesso solenne e silenzioso, dando maggior risalto all’austerità della mesta cerimonia. Molta gente di Verona, non invitata, ha assistito alla Messa funebre e poi ha accompagnato la salma al cimitero. È stato un tributo inaspettato di rispettosa venerazione che commosse tutti […]. Pur sostenuto dalla fede, ho sentito molto la morte di questo amico di cui conserverò sempre il più caro ricordo» (Moretti, 1977pp. 152-153).

Il legame che padre Moretti strinse con la famiglia Bertelè e, in particolare, col capofamiglia, assume un valore straordinario per la grafologia italiana. Umberto Bertelé rappresentò infatti per il padre della grafologia italiana una delle figure più significative non solo dal punto di vista umano ma anche grafologico perché la decisione di sostenere le spese delle pubblicazioni di molte sue opere, consentì a Moretti di passare alla storia come il padre della grafologia italiana.

Ben prima della morte di Bertelè, il nome di Moretti «era sulla bocca di migliaia di persone e [ricorda Moretti] quella città [gli] è stata sempre caramente devota. Dietro domanda di alcuni volenterosi, vi [aprì] una scuola di grafologia frequentata da 35 allievi, alcuni dei quali fecero ottima riuscita» (Moretti, 1977p. 96).

Intanto l’avvocato Sartori gli fece conoscere il vecchio Presidente del Tribunale di Verona il quale, volendo verificare l’abilità grafologica di Moretti, gli mostrò due scritture chiedendogli quale dei due autori avrebbe potuto compiere un omicidio a sangue freddo e Moretti, naturalmente, lo individuò senza troppa difficoltà.

Passato qualche mese l’avvocato Sartori comunicò a Moretti che il Presidente della Corte d’Assise di Venezia lo aveva nominato perito ad honorem per tutti i tribunali del Veneto.

Un incontro particolare: don Giuseppe Trecca e il Veronese

In un capitolo della sua autobiografia Moretti condivide col lettore uno degli episodi più originali e curiosi legati al suo rapporto con la città di Verona: si tratta dell’originale richiesta che gli giunse, nel 1939, da don Giuseppe Trecca.

Don Trecca era il curato di San Salvaro, un piccolo borgo della provincia veronese, ma era anche storico, architetto e resta celebre a Verona, tra l’altro, perché operò attivamente affinché la chiesa di San Salvaro tornasse ai vecchi splendori.

Moretti ricevette da don Trecca la richiesta di fare l’analisi grafologica di una scrittura di qualche secolo prima, a cui aveva tolto la firma. Il curato aveva inviato a Moretti la fotografia del saggio grafico chiedendogli un profilo il più dettagliato possibile.

Dopo poco tempo Moretti restituì al Trecca il risultato dell’analisi nella quale diede anche delle indicazioni relative all’aspetto fisico dello scrivente: il Curato di San Salvaro, in risposta, il 23 giugno del 1939 scrisse a Moretti, informandolo sul chi fosse l’autore del manoscritto che aveva esaminato: «Paolo Caliari, scoperto, denudato, radiografato. Soddisfatto vi ringrazio. Anche la parte somatica è indovinatissima. Tradizione vuole che, nel quadro di Antonio Badile a San Nazaro, il giovane che offre le palma sia Paolo quattrodicenne, discepolo del pittore [Badile è noto come il maestro del Veronese]. Andai a verificare: è biondo. Il profilo preannuncia il ritratto che è nella Cena dell’Accademia di Venezia, dove si notano i capelli castani [il Trecca si riferisce alla Cena a casa di Levi, dipinto del Veronese conservato presso le gallerie dell’Accademia di Venezia]. Congratulazioni. Giuseppe Trecca» (Moretti, 1977p. 130). Fa sorridere la chiosa con cui Moretti conclude il capitolo riservato a questo episodio: «Mi si perdoni la mia ignoranza. Non sapevo chi fosse Paolo Caliari e dovetti andare a consultare l’enciclopedia per apprendere che era nientemeno che il Veronese» (Moretti, 1977, p. 130).

Riferimenti bibliografici
Moretti G., Chi lo avrebbe mai pensato. Autobiografia, Curia Provinciale dei Frati Minori Conventuali, Ancona, 1977
Cristofanelli P., Girolamo Moretti. Profilo bio-bibliografico e metodo grafologico, Istituto Grafologico Internazionale Moretti, Urbino, Capponi Editore, 2021
Senatore Gondola V., Bolla M. (a cura di), Renzo Chiarelli, una vita per l’arte tra Toscana e Veneto, Atti del Convegno, Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona, Musei d’arte e Monumenti, Comune di Verona, Tipografia La Grafica, Verona, 2017
Moretti G., Analisi grafologiche, Studio grafologico S. Francesco delle Scale, Ancona, 1966