La letteratura per l’infanzia è un ambito di ricerca e una complessa disciplina di studio a carattere multidisciplinare, che può essere analizzata da prospettive diverse: letterarie, storiche, pedagogiche, antropologiche, sociologiche, psicologiche, e…grafologiche. Il primo “incontro” è con la favola di Pinocchio di cui sarà osservata la rapidità con uno sguardo comparativo a una delle categorie grafologiche morettiane (di Beatrice Zucchelli)

Leonardo Mattioli (1928-1999), allora giovanissimo disegnatore fiorentino, illustrò l’edizione delle “Avventure” dell’editore Vallecchi del 1955

Introduzione

Nata nel ‘700 con un esplicito intento didascalico-istruttivo e moralistico, doveva cioè insegnare il modello ideale di bambino e bambina, la letteratura per l’infanzia subisce una vera e propria rivoluzione in ambito europeo agli inizi del Novecento, sia nella rappresentazione dei personaggi che nelle tematiche e nello stile; i protagonisti diventano autentici e verosimili, non più stereotipati e dicotomici (buono/cattivo), acquisiscono quindi spessore psicologico, mostrano un mondo interiore sfaccettato, ricco di sogni e progetti, pensieri, idee, dubbi e ansie, gioie e dolori e soprattutto si pongono domande. Il punto di vista non è più quello dell’adulto, ma quello del bambino che emerge attraverso i protagonisti mostrando ai piccoli lettori la complessità dell’esistenza e offrendo un’opportunità di crescita umana.

La scrittrice che tra le prime fa sì che avvenga questo grande cambiamento è la svedese Astrid Lindgren (1907-2002): autrice di libri per ragazzi e impegnata nella difesa dei diritti dei bambini e degli animali, è nota per aver scritto Pippi Calzelunghe (1945). I personaggi dei suoi romanzi appaiono interiormente complessi, proprio come i bambini e i ragazzi che la leggono. Attraverso di essi il giovane lettore può cogliere valori e ideali che vengono presentati in maniera sottintesa, mai direttamente spiegati, in modo da permettere la creazione di una morale autonoma e la costruzione di propri orizzonti di senso. 

Attraverso gli indizi descrittivi, chi legge coglie il fluire dei pensieri del protagonista e i dialoghi interiori, il modo di agire e di affrontare la vita, di prendere decisioni e di rapportarsi agli altri.

La letteratura di qualità soddisfa i bisogni umani più profondi e, grazie a una molteplicità di punti di vista, in modo pluriprospettico risponde a quelli riguardanti la crescita e la realizzazione personale, il bisogno di conoscere il mondo e la vita (anche) attraverso i sensi.

La scrittura per l’infanzia e l’adolescenza è evocativa, incide profondamente producendo sensazioni, emozioni e riflessioni: dotata di un forte spessore simbolico, agisce nel profondo di chi legge, nutrendo corpo e spirito. E l’uomo è un animale simbolico, per cui la lingua è lo strumento col quale riesce a pensare e a sognare, a costruire ideali e percorsi esistenziali.

  1. Grafologia e letteratura per l’infanzia e l’adolescenza

Com’è noto, la Grafologia studia i complessi messaggi in codice del tracciato grafico, registra l’intera struttura e il comportamento del sistema nervoso centrale e neuromuscolare periferico e rivela le infinite variabili della struttura biotipologica individuale: le più sfumate modalità espressive dell’affettività, della mente, del comportamento sociale e del modo di percepire, rappresentarsi e sentire le cose. Anche il tracciato grafico è una costruzione simbolica che risente del suo stare nello spazio-foglio-vita e anche la Grafologia, come la letteratura per l’infanzia e l’adolescenza, gode di un carattere multidisciplinare al punto che si arriva a una sempre maggiore comprensione osservandola e studiandola attraverso l’interdisciplinarità.

Proprio per questi aspetti di similarità si pensa di dare inizio ad un ciclo di articoli su Grafologia e letteratura per l’infanzia e l’adolescenza.

La categoria grafologica che, in questa sede, ci interessa approfondire in un’ottica comparativa è quella della rapidità grafica, che studia e analizza l’eccitabilità, la spontaneità, la vivacità psicomotoria, affettiva e mentale[1] e che ci riporta a uno dei protagonisti assoluti della letteratura per l’infanzia: Pinocchio.

2. Pinocchio e… la rapidità

La storia di Pinocchio nasce a puntate sul “Giornale dei bambini”, con il titolo Storia di un burattino (1881-1883), confluite in un unico volume dal titolo Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino (1883). Pinocchio è la storia di un pezzo di legno che viene scolpito burattino e che per trentasei capitoli dovrà affrontare avventure di ogni genere, incontrando personaggi come Mangiafuoco e il Gatto e la Volpe, muovendosi tra il paese degli Acchiappa-citrulli, l’isola delle Api industriose e il paese dei Balocchi, inghiottito da un pescecane, avvisato più volte dal Grillo parlante ed aiutato dalla Fata Turchina, dopo aver salvato il padre si trasforma infine in un ragazzo in carne ed ossa.

Il suo autore è Carlo Lorenzini (Firenze 1826-1890), noto come Collodi, in onore del paese natale della madre. Di origini popolari, primogenito di dieci figli, gli vengono pagati gli studi dal Marchese presso cui il padre era cuoco. Padre che abbandonerà la numerosa famiglia lasciandola a carico della moglie. Nonostante l’estrazione popolare, Collodi divenne uno dei più grandi intellettuali del suo tempo, giornalista polemico e satirico verso la classe politica dell’epoca, si porrà sempre dalla parte di quel popolo senza voce.

Per comprendere l’innovazione di quest’opera dobbiamo inserirla in quel contesto storico-culturale-linguistico e letterario della seconda metà dell‘800 nel quale “fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”: il cui obiettivo era quello di educare le nuove generazioni ai valori della classe dominante. A questo scopo l’industria editoriale dell’Italia postunitaria lavorava vivacemente nella pubblicazione di libri ma soprattutto di manuali scolastici, con rigide caratteristiche atte all’omologazione sociale e alla formazione dell’uomo e del cittadino portatore di ideali modelli umani irreprensibili in qualità morali e civili[1]. Chi avesse tentato di scardinare questa “gabbia del pedagogismo patriottardo e del paternalismo edificante”[2] sarebbe stato destinato alla bocciatura. E’ quello che accade al Giannettino (1876) di Collodi, testo che non viene adottato nelle scuole ma che riesce a creare una crepa in quel solidissimo sistema ideologico e Pinocchio è ormai alle porte.

Esiste un legame inscindibile tra Collodi e questo personaggio della sua opera più famosa: entrambi nati per essere ribelli, con uno spirito ironico e profondamente contestatori.

Pinocchio incarna l’essenza dell’animo dinamico, con la sua voglia di esplorare, capire, giocare, scoprire, andare continuamente e soprattutto correre. Pinocchio corre tutto il tempo, liberamente, fisicamente e metaforicamente lungo i sentieri della vita, il suo è un destino vitale e dinamico.

Corre sfrenatamente, per arrivare o per scappare, sgambetta, si dimena, si divincola. Corre di capitolo in capitolo, per ore, come lepre, cavallo da corsa, capretto, leprottino, cane da caccia, can levriero, capriolo, palla di fucile…

Minuto e solido insieme, nella corsa è insuperabile, «- Dunque, via! E chi più corre, è più bravo! – gridò Pinocchio […] e […] era sempre avanti a tutti: pareva che avesse le ali ai piedi».[3]

Corre non solo in terra ma anche per aria, volando e per mare, nuotando, per chilometri e chilometri.

Corre sin dal principio, dalla sua nascita, infatti «Quando le gambe gli si furono sgranchite, Pinocchio cominciò a camminare da sé e a correre per la stanza; finché, infilata la porta di casa, saltò nella strada e si dette a scappare. E il povero Geppetto a corrergli dietro senza poterlo raggiungere, perché quel birichino di Pinocchio andava a salti come una lepre, e battendo i suoi piedi di legno sul lastrico della strada, faceva un fracasso, come venti paia di zoccoli da contadini».[4]

E, dopo la prima fuga, il carabiniere che riesce a sbarrargli la corsa acciuffandolo dal naso, pensava «si trattasse di un puledro che avesse levata la mano al padrone»[5], e subito dopo «rimasto libero dalle grinfie del carabiniere, se la dava a gambe giù attraverso i campi […] e nella gran furia del correre saltava greppi altissimi, siepi di pruni e fossi pieni d’acqua, tale e quale come avrebbe potuto fare un capretto o un leprottino inseguito dai cacciatori».[6]

Pinocchio manifesta da subito la sua natura e afferma: «so che domani, all’alba, voglio andarmene di qui […]; e io, a dirtela in confidenza, di studiare non ne ho punto voglia e mi diverto di più a correre dietro alle farfalle e a salire su per gli alberi».[7] Collodi mette in risalto la sua indole effervescente: «Pinocchio […] aveva addosso la febbre della curiosità»[8]; descrive i suoi movimenti subitanei: «si divincolava come un’anguilla fuori dell’acqua»[9] o si arrampicava «come uno scoiattolo su per la barba del burattinajo»[10] per ringraziare Mangiafoco di non aver bruciato alcun burattino.

Di nuovo l’urgenza dell’andare, del non fermarsi fisicamente ma anche del non interrompersi per riflettere e non sentire ragioni quando l’ombra del Grillo-parlante lo mette in guardia dagli imbroglioni che vogliono rubargli le monete d’oro.

E difatti l’avventura prosegue con un gran correre per sfuggire agli assassini «Pinocchio, lesto come un lampo […] saltata la siepe della strada, cominciò a fuggire per la campagna. […] Dopo una corsa di quindici chilometri, Pinocchio non ne poteva più. Allora, vistosi perso, si arrampicò su per il fusto di un altissimo pino» [e poi] non volendo far la fine del piccione arrosto, spiccò un bel salto di vetta all’albero, e via a correre daccapo attraverso ai campi e ai vigneti».[11]

Ormai sfinito, trova nuova energia vedendo in lontananza una casetta bianca «E senza indugiare un minuto, riprese a correre per il bosco a carriera distesa. […] Dopo una corsa disperata di quasi due ore»[12] arriva alla porta di quella casa.

Scampato all’impiccagione e salvato dalla medicina della Fata, Pinocchio riparte per incontrare suo padre e «appena entrato nel bosco, cominciò a correre come un capriolo».[13]

Ignaro del nuovo imbroglio escogitato dal Gatto e la Volpe, camminando «con passo frettoloso»[14] Pinocchio si dirige al Campo dei miracoli. Dopo aver capito che le monete non ci sono più, «preso allora dalla disperazione, tornò di corsa in città e andò difilato in tribunale».[15]

Dopo quattro mesi viene liberato dal carcere della città di Acchiappa-citrulli nonostante il tempo piovigginoso, Pinocchio «tormentato dalla passione di rivedere il suo babbo […] correva a salti come un can levriero, e nel correre le pillacchere gli schizzavano fin sopra il berretto».[16]

Poco più avanti «Alla vista di quel burattino, che sgambettava a capo fitto con una velocità incredibile [il serpente che ostruiva la strada morì dalle risate e] allora Pinocchio ricominciò a correre».[17]

Dopo esser stato cane da guardia e liberato dal suo padrone per dimostrazione di onestà, subito «si pose a scappare attraverso ai campi, e non si fermò un solo minuto».[18]

Mentre si dispera sulla tomba della fatina, un grosso colombo si posa accanto a lui e si offre di accompagnarlo sulla spiaggia del mare dove tre giorni prima aveva lasciato Geppetto «senza stare a dir altro, Pinocchio saltò sulla groppa al colombo e messa una gamba di qui e l’altra di là …] gridò tutto contento – “galoppa, galoppa, cavallino, che mi preme di arrivar presto!…”».[19]

Dopo aver parlato con il delfino che lo informò che Geppetto era stato inghiottito dal pescecane «Prese subito la viottola e cominciò a camminare di un passo svelto; tanto svelto, che pareva quasi che corresse».[20]

Dopo l’incidente del libro lanciato al compagno, Pinocchio sfugge ai carabinieri in questo modo: «raccattò il berretto […] e poi cominciò a correre di gran carriera verso la spiaggia del mare. Andava via come una palla di fucile».[21]

«Ma nel dir così, fece un bel salto e schizzò in mezzo all’acqua. E nuotando allegramente e allontanandosi dalla spiaggia […] e seguitava a nuotare […] fatto sta che in un batter d’occhio si era tanto allontanato che non si vedeva quasi più: ossia, si vedeva solamente sulla superficie del mare un puntolino nero, che di tanto in tanto rizzava le gambe fuori dell’acqua e faceva capriole e salti, come un delfino in vena di buon’umore».[22]

«Raddoppiando di forza e di energia si diè a nuotare verso lo scoglio bianco […]. E Pinocchio nuotava disperatamente con le braccia, col petto, con le gambe e coi piedi. […] raccogliendo tutte le sue forze, raddoppiava di lena nella corsa. […] E Pinocchio a nuotar più lesto che mai, e via, e via, e via, come andrebbe una palla di fucile».[23]

Verso la fine del romanzo, quando Pinocchio si avvia verso la trasformazione in ragazzo, non modifica il suo atteggiamento dinamico «E uscito di casa, cominciò a correre tutto allegro e contento».[24]

Pinocchio corre continuamente, in modo incessante, è un gioco di liberazione. Corre all’improvviso, corre quando deve soddisfare un bisogno estremo come la fame. Nella corsa si racchiude tutta la sua esplosione vitale.

Questa sua corsa permanente ha un significato profondo e metaforico: è fuga dalla morte e allo stesso tempo verso di essa, è affermazione di sé, è evoluzione e crescita, trasformazione: Pinocchio corre il più delle volte solo, con se stesso.

La corsa è vertigine, anzi, la corsa a rotta di collo di Pinocchio è una ricerca di vertigine. Si perde la possibilità di frenarsi, l’equilibrio e il controllo sono precari. Il mondo scivola vicino, la percezione è parziale e imprendibile, Pinocchio corre in avanti e il mondo corre all’indietro. Dove c’è vertigine c’è spasmo, questa ricerca inarrestabile ha un aspetto dolorosamente spasmodico, c’è la voglia di uscire da sé, la voglia di far correre l’anima via dal corpo.

La corsa di Pinocchio è spasmo, vertigine, contraddizione, tensione, spinta vitale e trasgressione. Infine Pinocchio non può far altro che correre perché non può percepire la sua vita ferma, statica, chiusa in poche aspettative e brevi orizzonti, è nella sua stessa origine materica, lignea e vegetale che risiede la sua forza vitale.

Ci si può accorgere di come per lui anche la sfera del sentimento sia movimento e il piangere venga declinato con altri verbi che appartengano all’agire, quando piange Pinocchio strilla, batte la testa, si lamenta, raglia, bofonchia, si dispera, compiendo azioni e gesti teatrali.[25]

Questa liberazione di energia, di spontaneità, di azione, di anticonformismo in Pinocchio è paragonabile all’indice di rapidità nella scrittura.

3. I piedi di Pinocchio

I piedi di Pinocchio sono il mezzo che lo rende vivo e inarrestabile e rimandano a caratteristiche somatiche a suo tempo ben evidenziate dal Moretti: «i ragazzi che hanno molta energia finiscono sempre per camminare con la punta, cioè saltellare».[1]

I piedi di Pinocchio sono irriverenti dalla nascita, infatti «Quando Geppetto ebbe finito di fargli i piedi, sentì arrivarsi un calcio sulla punta del naso».[2] Piedi fradici e infreddoliti, piedi che bruciano dopo averli appoggiati «sopra un caldano pieno di brace accesa […] e nel dormire, i piedi che erano di legno gli presero fuoco e adagio adagio gli si carbonizzarono e diventarono cenere».[3] Piedi che risorgono rapidamente grazie a Geppetto, tant’è che, dopo la loro distruzione, «in meno d’un’ora, […] erano bell’e fatti; due piedini svelti, asciutti e nervosi, come se fossero modellati da un artista di genio».[4] Piedi stizzosi che rimangono incastrati nella porta della casa della Fata dopo che il burattino «lasciò andare una solennissima pedata nell’uscio della casa. Il colpo fu così forte, che il piede penetrò nel legno fino a mezzo: e quando il burattino si provò a ricavarlo fuori, fu tutta fatica inutile: perché il piede c’era rimasto conficcato dentro, come un chiodo ribadito […]. Dovè passare tutto il resto della notte con un piede in terra e con quell’altro per aria»[5]. Piedi che si fanno zampe d’asino «si piegarono tutti e due carponi a terra [Pinocchio e Lucignolo] e camminando con le mani e coi piedi, cominciarono a girare e a correre per la stanza»,[6] piedi che scoprono le cose e anticipano ciò che accadrà «e [Pinocchio] nel camminare sentì che i suoi piedi sguazzavano in una pozzanghera d’acqua grassa e sdrucciolona […] finché cammina cammina, alla fine arrivò»[7] e finalmente, nel ventre del Pescecane, trovò Geppetto.

4. La rapidità grafica

La rapidità grafica è una categoria che studia ed analizza «i tempi in cui si succedono le fasi antagoniste del ritmo vitale»[8] 

Quando la rapidità grafica è sostenuta, si individua Veloce, segno modificante e facente parte del carattere dell’assalto per rapidità dei tempi di reazione: esso è caratterizzato da «un’evidente rapidità del gettito grafico, da semplicità delle forme, assenza di indici di indugio, freno o regressione dei tratti, omogeneità dell’inclinazione, della dimensione, delle larghezze, della pressione»[9] che presenta nello scrivente una prontezza di reazione, un’agilità dei processi mentali, una prontezza intuitiva e una presenza di spirito nel risolvere problemi e situazioni.

La scrittura veloce appartiene alla persona vivace, immediata, spontanea e esuberante, che non si attarda troppo a riflettere e passa rapidamente dall’idea all’azione. L’immediatezza nella decisione e nell’esecuzione permette di affrontare con sicurezza anche situazioni rischiose. Così Pinocchio riesce a scappare con Geppetto dalla bocca del pescecane «- Questo è il vero momento di scappare […]. Venite dunque, babbino, dietro a me e fra poco saremo salvi. – Detto fatto, salirono su per la gola del mostro marino» ma il Pesce-cane starnutì e li scaraventò di nuovo nel suo stomaco; Pinocchio non si perde d’animo «- Dobbiamo ritentare la fuga. Venite con me e non abbiate paura.- […] Pinocchio, sicurissimo del fatto suo, si gettò nell’acqua e cominciò a nuotare».[10] Chi possiede il segno Veloce ha agilità di membra e di incesso, può arrivare anche ad essere precipitoso, impulsivo, emotivo e irrequieto, è molto sbrigativo e orientato all’azione, mal sopporta tutto ciò che lo limita o rallenta. La calma può venire meno quando l’ambiente dovesse imporre remore od ostacoli. Così Pinocchio si rivolge al Grillo parlante: «- Bada, Grillaccio del mal’augurio!… se mi monta la bizza, guai a te! […] Pinocchio saltò su tutt’infuriato e preso di sul banco un martello di legno lo scagliò contro il Grillo-parlante».[11]

Ha insofferenza delle situazioni e dei propri limiti. Arrivato alla casa della Fata, bussa e «Aspetta, aspetta, finalmente dopo mezz’ora si aprì una finestra dell’ultimo piano […] e vide affacciarsi una grossa lumaca» che gli disse «– Aspettami costì, che ora scendo giù e ti apro subito.» Prontamente, la risposta di Pinocchio è un «– Spicciatevi, per carità, perché io muoio dal freddo.» Ma «[…] Intanto passò un’ora, ne passarono due, e la porta non si apriva […] suonò la mezzanotte: poi il tocco, poi le due dopo mezzanotte, e la porta era sempre chiusa. Allora Pinocchio, perduta la pazienza, afferrò con rabbia il battente della porta per bussare un colpo da far rintronare tutto il casamento» ma questo si trasformò in un’anguilla e gli sgusciò via dalle mani. Pinocchio sempre più insofferente dà un potentissimo calcio alla porta, ma rimane con il piede incastrato in essa e nonostante la sua mancanza di spirito di attesa, questa volta è costretto ad attendere fin «sul far del giorno, (quando) finalmente la porta si aprì […] ci aveva messo solamente nove ore».[12]

Altro segno della rapidità grafica legato però alla formazione della lettera è Dinamica, «segno modificante che fa parte del carattere dell’assalto per impulso endogeno all’azione e facilità nel risolverne i problemi».[13]

Si costituisce di due elementi: le forme letterali sono scheletriche e staccate con tratti recisi, rapidi e sfuggenti e i collegamenti tra lettere sono rapidi e semplici tratti a spirale,[14] inoltre le forme del modello scolastico vengono rese con originalità e personalizzazioni maggiormente essenziali. Il tracciare in modo efficace e semplice, in economia di spazio e tempo è indice di una personalità attiva e intuitiva e abile a semplificare e risolvere i problemi con soluzioni originali e funzionali alle situazioni concrete. Ha un intelligente sfruttamento dei mezzi nel raggiungimento degli scopi.

Così Pinocchio nella città degli Acchiappa-citrulli, quando per clemenza dell’Imperatore regnante vengono aperte le carceri e fatti uscire i malandrini, afferma: «Se escono di prigione gli altri, voglio uscire anch’io, […] – Voi no, rispose il carceriere, perché voi non siete del bel numero… – Domando scusa, replicò Pinocchio, sono un malandrino anch’io».[15]

La corsa di Pinocchio sfocia talvolta in un’eccessiva rapidità che diventa irrequietezza, mancanza di riflessione, carenza di autodominio nell’azione e nel pensiero, nei segni Slanciata e Impaziente, la forma si perde per dare spazio a un movimento che si fa incontrollato.

In Slanciata, in particolare, che è segno modificante facente parte del carattere dell’assalto per il modo istintivo dell’andare verso le cose, c’è uno stiramento orizzontale di alcune lettere che si assottigliano e si allungano con un andamento verso destra, diventando indecifrabili; inoltre i tratti finali di parola o tratti accessori di lettere (tagli delle t, accenti, virgole, puntini) vengono vistosamente lanciati nello spazio in un sottofondo scrittorio che è vivo ed espansivo.[16]

Ne esce un temperamento esuberante, generoso, ottimista, intraprendente con entusiasmo, impulsivo, che reagisce con slancio e spontaneità, aperto verso gli altri e l’ambiente. Intuitivo ma scarsamente riflessivo e quindi avventato, perché difficilmente ascolta i consigli degli altri. L’irriflessione e l’avventatezza si possono leggere in questo passo, in cui Pinocchio non sente ragioni e in piena notte si dirige al Campo dei miracoli:

«Dài retta a me, ritorna indietro.

  • E io, invece, voglio andare avanti.
  • L’ora è tarda!…
  • Voglio andare avanti.
  • La nottata è scura…
  • Voglio andare avanti.
  • La strada è pericolosa…
  • Voglio andare avanti».[1]

Il segno Impaziente, invece, accidentale dell’assalto per impazienza e precipitazione, lo troviamo quando vengono omessi elementi letterali e/o accessori, le lettere non sono ben definite o incomplete, in un sottofondo scrittorio rapido ma irrequieto[2]. Chi scrive è spontaneo e immediato, vivace e iperattivo, trascura i particolari per la foga di fare e concludere in tempi brevi. È quindi irrequieto e nervoso, insofferente e irritabile, carente di pazienza e autocontrollo. Tende ad agire con eccessivo coinvolgimento. Ha smania di fare e finire presto, quanti “spicciati” e “sbrigati” e “voglio arrivare presto” e “al galoppo” troviamo nel testo: «Per un poco Pinocchio usò disinvoltura e tirò via; ma finalmente, sentendosi scappar via la pazienza, si rivolse a quelli che più lo tafanavano e si pigliavano gioco di lui».[3]

E in quante occasioni troviamo la mancanza di dominio di sé e un’eccitabilità incontrollata, Pinocchio a esempio che, con l’acquolina in bocca, non saprà resistere al richiamo del Paese de’ Balocchi.

Per tutte queste considerazioni e per la modalità di reazione agli stimoli, per la tendenza all’espansione, per la vivacità, per l’esuberanza e l’impulsività, si può concludere che Pinocchio possiede gli indici della rapidità grafica oltreché della primarietà.

Bibliografia

Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, illustrata da E. Mazzanti, Editore Felice Paggi, Firenze, 1883.

Girolamo Moretti, Il corpo umano dalla scrittura. Grafologia somatica, Edizioni Messaggero di Sant’Antonio, Padova, 2003.

Maria Luisa Ferrea, Segni come disegni. Un approccio alla grafologia attraverso le immagini dell’arte, Edizioni Magi, 2004.

Antonio Faeti, Gli amici ritrovati. Tra le righe dei grandi romanzi per ragazzi, Bur ragazzi, Milano, 2010.

Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, Einaudi, Torino, 2014.

Silvia Blezza Picherle, Formare lettori, promuovere la lettura, Franco Angeli, Milano, 2015.

Nazzareno Palaferri, L’indagine grafologica e il metodo morettiano, Edizioni Messaggero di Sant’Antonio, Padova, 2015.

Daniela Marcheschi, Il naso corto. Una rilettura delle Avventure di Pinocchio, Centro editoriale dehoniano, Bologna, 2016.

Silvia Blezza Picherle, Letteratura per l’infanzia e l’adolescenza, Edizioni Qui Edit, Verona, 2020.

Roberto Bartolini, Assessment grafologico. Manuale di valutazione per la persona, il professionista, l’azienda, Epsylon editrice, 2020

Pino Boero, Carmine De Luca, La letteratura per l’infanzia, Editori Laterza, 2009


[1] Carlo Collodi, cit., pag.61.

[2] Nazzareno Palaferri, cit., pag. 322.

[3] Carlo Collodi, pag.133.


[1] Girolamo Moretti, Il corpo umano dalla scrittura. Grafologia somatica, Edizioni Messaggero di Sant’Antonio, Padova, 2003, pag. 252.

[2] Carlo Collodi, cit.,pag. 15.

[3] Ivi, pp. 27-28.

[4] Ivi, pag. 35.

[5] Ivi, pp. 159-160.

[6] Ivi, pag. 186.

[7] Ivi, pag. 209.

[8] Nazzareno Palaferri, L’indagine grafologica e il metodo morettiano, Edizioni Messaggero di Sant’Antonio, Padova, 2015, pag. 309  

[9] Nazzareno Palaferri, cit., pag. 313.

[10] Carlo Collodi, cit., pp. 215-216.

[11] Ivi, pag. 21.

[12] Ivi, pp. 159-160.

[13] Nazzareno Palaferri, cit., pag. 407.

[14] Ibidem.

[15] Carlo Collodi, cit., pp. 95-96.

[16] Nazzareno Palaferri, cit., pag. 317.


[1] Pino Boero, Carmine De Luca, La letteratura per l’infanzia, ed. Laterza, 2009

[2] Cit. p.22

[3] Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, illustrata da Enrico Mazzanti, Editore Felice Paggi, Firenze, 1883, pag. 136.

[4] Ivi, pag. 16.

[5] Ivi, pag. 17.

[6] Ivi, pag. 19.

[7] Ivi, pag. 20.

[8] Ivi, pag. 39.

[9] Ivi, pag. 44.

[10] Ivi, pag. 49.

[11] Ivi, pag. 65.

[12] Ivi, pag. 67.

[13] Ivi, pag. 85.

[14] Ivi, pag. 91.

[15] Ivi, pag. 94.

[16] Ivi, pag. 97.

[17] Ivi, pag. 100.

[18] Ivi, pag. 111.

[19] Ivi, pag. 115.

[20] Ivi, pag. 122.

[21] Ivi, pag. 144.

[22] Ivi, pag. 204.

[23] Ivi, pag. 206.

[24] Ivi, pag. 227.

[25] P.Boero, C. De Luca, Ivi, pg.55


[1] Nazzareno Palaferri, L’indagine grafologica e il metodo morettiano, Edizioni Messaggero di Sant’Antonio, Padova, 2015, pag. 309.